31 julho 2011

Era seduta sul divano e pensava. La stanza era buia e la luce di un altro edificio la dipingeva tutta di blu. Stringeva le mascelle inconsciamente e sempre più forte, fino che percepiva e di subito le rilassava. Ascoltava i suoi organi funzionare mentre cercava di scordare quella messa che aveva saltato di tra quei ricordi antichi, da molto sepolti.
Ma la messa non la lasciava stare, anzi, suonava nella sua mente con tutte le forze, fragorosa, impetuosa. Aveva provato iniziare il suo MP4 – era scaricato; aveva cercato quelle musiche infernali (anche se questa non sarebbe la parola proprio giusta) in internet, senza risultati.
Era un po' impacciata, ed un bel tanto confusa. Stava lì, ferma, sola, a stringere le mascelle.

30 julho 2011

Stecchetti, Lorenzo

III.

Era una notte come questa e il vento
Scuoteva urlando la mia porta invano:
Lunga come un lamento
Mezzanotte battea lontan lontano,
Cadea la pioggia a rivi
Dalle gronde sonore e tu partivi.

Tu partivi per sempre ed io sul letto,
Col viso in giù, la còltrice mordea:
Mi strideva nel petto
Il singhiozzo del pianto e non piangea.
Così tu m’hai lasciato
E il bacio dell’addio non me l’hai dato.

Da quella notte non t’ho più veduta
E più nulla di te non seppi mai.
Forse tu sei caduta
Nel vitupero ed aspettando stai,
Seduta sulla porta,
Chi compri il bacio tuo; forse sei morta.

Forse, e questo pensier più mi tormenta,
Non ti ricordi più del tuo passato,
E godendo contenta
La casta pace d’un imen beato,
Baci col labbro pio
I figli d’un amor che non fu il mio.

Nel tempo anch’io sperai che pur conforta,
Che spegne pure ogni dolor più greve.
Ti volli creder morta
Perchè scordarsi degli estinti è lieve,
E dissi al cor mio gramo,
Dissi all’anima mia: dimentichiamo.

Invan. Da quella notte io porto in core
Come una piaga che guarir non vuole;
Chiuso nel mio dolore
Odio la terra, maledico il sole,
Maledico la vita,
Perchè non spero più; tu sei partita.

E partita per sempre! e pur se sento
La piova ancor che dalle gronde scroscia
E a mezza notte il vento
Sonar come un lontano urlo d’angoscia,
Dal mio guanciale il volto
Levo e le voci della notte ascolto.

Così mal desto le tue bianche forme,
Velate come in sogno, io veggo in mente;
Tace per poco e dorme
Il tarlo roditor che lentamente
La mia vita divora,
E mi par quasi d’aspettarti ancora.

Può la mente scordar tutto un passato,
Ma la mia carne non li scorda mai
I baci che m’hai dato,
I misteri d’amor che t’insegnai,
Le notti mie più liete,
E le tue voluttà le più segrete.

Ahi, ma dal mio sopor tosto destato,
L’atroce verità riveggo intera!
Ignudo e forsennato
Levo le braccia nella notte nera
E sulla coltre sola
Spasimo e il pianto mi s’annoda in gola.

Pianger non posso. Maledetto Iddio,
Se favola non è come l’amore,
Egli che il pianto mio
Come una pietra mi saldò nel core,
Egli che ci ha diviso
E che il pianto mi nega e il tuo sorriso!

Oh, se pianger la morte mi facesse,
Se una lagrima sola, un’ora sola
De’ gaudi tuoi mi desse,
Ricada sovra me la mia parola
Se la casa di grida
Non risonasse già pel suicida!

25 julho 2011

de instrumento a fim - fragmentos de raciocínio

irracionalidade da razão
robotização humana, ou seja, perda da experiência, da sociabilidade, da formação enquanto coletivo.
primazia da formação individual, do capital humano, maximização do tempo gasto com isso e com o tempo de produção.
perda da relação interpessoal & maximização da relação intercolegal.
tudo sob o disfarce do humano, do normal. photoshopização do robótico, ideologização da falta de vida. perder a vida através de um caminho irracional, de ausência de sentido. trocar a vida pelo capital, pela formação do capital, pela acumulação do capital, pelo consuno do capital, capital, capital.
és pecado(,) capital.

24 de junho

24 julho 2011

Límites

De estas calles que ahondan el poniente,
una habrá (no sé cuál) que he recorrido
ya por última vez, indiferente
y sin adivinarlo, sometido

a Quien prefija omnipotentes normas
y una secreta y rígida medida
a las sombras, los sueños y las formas
que destejen y tejen esta vida.

Si para todo hay término y hay tasa
y última vez y nunca más y olvido
¿quién nos dirá de quién, en esta casa
sin saberlo, nos hemos despedido?

Tras el cristal ya gris la noche cesa
y del alto de libros que una trunca
sombra dilata por la vaga mesa,
alguno habrá que no leeremos nunca.

Hay en el Sur más de un portón gastado
con sus jarrones de mampostería
y tunas, que a mi paso está vedado
como si fuera una litografia.

Para siempre cerraste alguna puerta
y hay un espejo que te aguarda en vano;
la encrucijada te parece abierta
y la vigila, cuadrifronte, Jano.

Hay, entre todas tus memorias, una
que se ha perdido irreparablemente;
no te verán bajar a aquela fuente
ni el blanco sol ni la amarilla luna.

No volverá tu voz a lo que el persa
dijo en su lengua de aves y de rosas,
cuando al ocaso, ante la luz dispersa,
quieras decir inolvidables cosas.

¿Y el incesante Ródano y el lago,
todo ese ayer sobre el cual hoy me inclino?
Tan perdido estará como Cartago
que con fuego y con sal borró el latino.

Creo en el alba oír un atareado
rumor de multitudes que se alejan;
son lo que me ha querido y olvidado;
espacio y tiempo y Borges ya me dejan.

Jorge L. Borges

06 julho 2011

Ode ao pássaro morto

Fora antes uma Bolinha de penas
dessas saltitantes, alvo de mil preocupações
“merda, será que eu passei por cima?”.

Agora, mero monte amorfo de plumas
incrustrado no asfalto.
Poderia muito bem se passar por um bolo de sujeira
daquelas que se tira de debaixo da cama.